SIAMO TUTTI "VESUVIO LAVALI".
- Scritto da jacquesdemolay
Ma il razzismo è un'altra cosa.
Alcuni mesi fa, il maggiore quotidiano locale si meravigliava (?) del fatto che i tifosi del Bologna fossero più interessati a manifestare il loro malcontento protestando contro Curci e non verso gli amministratori della città e della provincia, impelagati nei soliti scandali italiani.
Oggi, dopo Bologna-Napoli, la notizia principe è il razzismo della curva di casa: l’ennesimo coro di ipocrisia - o superficialità, nella migliore delle ipotesi - che si leva unanime a livello nazionale, senza uno straccio di approfondimento da parte di chi, per mestiere, dovrebbe fare proprio quello: approfondire e informare.
Ma il razzismo è una cosa seria. Se ne vogliamo parlare.
Siamo razzisti nelle aziende, nelle fabbriche e nelle redazioni, quando non assumiamo, a parità di qualifica e CV, ragazzi stranieri, ma anche professionisti troppo giovani o troppo vecchi o… troppo poco amici di qualcuno che conta.
Siamo razzisti sugli autobus, quando ci allontaniamo se salgono persone diverse da noi, magari studenti di un corso di formazione ma colpevoli di essere scappati da un paese in guerra.
Siamo razzisti in Parlamento, dove un partito ha fatto dell'intolleranza la sua bandiera.
Siamo razzisti nel turismo sessuale.
Siamo razzisti quando iscriviamo i nostri figli in classi blindate dal rischio stranieri.
Siamo razzisti quando facendo la spesa evitiamo la bottega del pachistano.
Siamo razzisti quando non salutiamo il vicino di casa perché non parla come noi.
Siamo razzisti quando in treno non ci sediamo vicino a una persona di colore.
Siamo razzisti quando acquistiamo un vestito di provenienza illegale, perché a noi conviene.
Siamo razzisti in spiaggia, quando ci vantiamo di aver strappato uno sconto al vuccumprà.
Siamo razzisti ai semafori.
Siamo razzisti quando ci giriamo dall'altra parte.
Allo stadio, a Bologna, no. E dire che non è difficile. Fior di sociologi hanno trattato l'argomento, con eccellenti risultati. Ma siamo nell'era in cui tutti gridano e nessuno ascolta, così fa più clamore un tweet demagogico rispetto a un libro. Eppure basterebbe procurarsi un buon saggio per comprendere che allo stadio sopravvive una dinamica definita "sublimazione della battaglia". Regole e linguaggi universali del calcio (a proposito, "assedio", "bolgia infernale", "trincea", "sciabolata" e "cannonata" non vi dicono nulla?) non li abbiamo creati noi tifosi oggi.
E se alcuni secoli fa Pisa e Genova, Bologna e Modena, Bergamo e Brescia si facevano la guerra, oggi c'è lo stadio a garantire il campanile e la protezione del territorio e della comunità di appartenenza in senso lato. È un processo lungo millenni che si è sedimentato in ciascun individuo; e forse ci vorranno altri millenni per sfumarlo. Perché l’uomo è un animale sociale che combatte per avere terre e risorse fin dalla notte dei tempi. E allo stadio culmina con "Vesuvio lavali", "Puzza di pesce, si sente puzza di pesce" o "Solo la nebbia, c'avete solo la nebbia" (o introduciamo il divieto di cori di discriminazione climatica?).
Fine.
Credetemi, non è complicato da capire, esperti, opinionisti e commentatori da divano.
Ma il razzismo, quello sì grave, stupido e becero, che andrebbe condannato e risolto, è quello di cui sopra.
JDM